Generazione Covid

La giovinezza è un periodo delicato per la crescita e la formazione di ogni individuo, da un punto di vista psicologico, emozionale e sociale. Qualunque circostanza di aggregazione e indipendenza, i primi appuntamenti, il festeggiare compleanni o avvenimenti importanti, il poter studiare in città diverse dalla propria, sono tutte tappe e opportunità cruciali del percorso armonioso che dalla giovinezza conduce all’età adulta, e la pandemia da COVID-19, con lockdown, restrizioni negli spostamenti e la chiusura delle scuole, ha privato i giovani di molte di queste opportunità di socializzazione, sperimentazione e, di conseguenza, di crescita, intaccandone l’entusiasmo, lo sviluppo di valori e le prospettive future.

Con l’intento di dare voce alle nuove generazioni, il gruppo Havas, in collaborazione con Market Probe International, ha intervistato 17.500 prosumers, di cui 2.700 della Generazione Z e Millennials (età compresa tra i 18 e i 24 anni), provenienti da 32 stati diversi (Austria, Bangladesh, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Republic Ceca, Danimarca, Francia, Germania India, Irlanda, Italia, Giappone, Messico, Marocco, Norvegia, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Russia, Arabia Saudita, Singapore, Sud Africa, Spagna, Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti d’America) e divisi in leading-edge prosumer (18%) e mainstream consumer (82%).1

 

Chi sono i prosumer?

I prosumer sono i consumatori-innovatori, influencer e driver nelle scelte di mercato.

Oltre al loro impatto economico, influenzano le scelte e comportamenti di altri, indicando marchi di successo e tendenze. In sintesi, quello che fanno i prosumer oggi, i consumatori tradizionali probabilmente lo faranno nei prossimi 6-18 mesi.

 

Giovinezza interrotta

Nonostante la possibilità di interagire attraverso la tecnologia, il 64% dei prosumer sostiene di non essersi mai sentita così sola come nel corso della pandemia da COVID-19, i due terzi sottolinea quanto sia più difficile avere 20 anni, oggi, rispetto a due decenni fa, e l’80% evidenzia i sacrifici fatti, a causa delle restrizioni, paragonandosi alle generazioni precedenti.

Per molti studenti universitari e giovani adulti, che non avevano ancora lasciato il nido familiare o che si sono visti costretti, per ragioni finanziarie, a farvi ritorno, la pandemia ha rappresentato un periodo di regressione e un ritorno ad una vita “sorvegliata”, 24/7, con 9 intervistati su 10 che afferma come, la cosa peggiore della situazione attuale, non siano i decessi o le restrizioni fisiche, ma la costante incertezza su quando e se, tutto questo, finirà.

Il sondaggio rivela come esistano prospettive differenti riguardo alle principali difficoltà che il COVID ha portato ad affrontare:

  • una ridotta possibilità di trovare un lavoro stabile (28%)
  • l’incapacità di pianificare il futuro (24%)
  • l’impossibilità di fare esperienze fondamentali (21%)
  • la sensazione di una vita di ambiguità e precarietà (18%)
  • la mancanza di gioia nel cercare nuovi amici (6%) o un partner (3%)

 

Sebbene il sondaggio abbia rivelato come, per gran parte dei prosumer (63% di età superiore ai 55 anni e 82% di quelli compresa tra i 18 e 34 anni), siano stati proprio i giovani ad aver affrontato le sfide più significative a causa della pandemia, la metà dei giovani intervistati si è sentita dimenticata, abbandonata ed esclusa da una società che, direzionando tutte le energie verso la salvaguardia delle persone anziane, ha trattato i più giovani come agnelli sacrificali. E questo sentimento ha amplificato, ulteriormente, l’antagonismo tra generazioni.

 

 

La caduta dell’era dei Boomer

Dopo anni di crisi economiche, previsioni meteorologiche e ambientali catastrofiche, conflitti globali e discordie sociali, la pandemia è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, accrescendo nei giovani l’urgenza di vivere appieno la vita nell’era post COVID (87% dei prosumer) e il soffocante e risoluto bisogno di costruire un futuro migliore.

 

Circa tre quarti dei giovani intervistati non crede si possa ottenere un vero cambiamento senza un’azione radicale, che incominci innanzitutto da decisioni personali. La maggior parte non è più disposta a vivere secondo le aspettative di una società capitalista, incentrata principalmente sul consumo, e vede nella pausa che la pandemia ha imposto, l’opportunità per un “grande reset” e l’occasione per riconsiderare molte delle scelte individuali:

  • il 72% pensa che sia possibile una vita soddisfacente senza la necessità di un diploma o di una laurea
  • il 66% preferisce orari di lavoro flessibili ad uno stipendio elevato
  • il 73% rifiuta i partiti politici tradizionali, considerati poco incisivi, e preferisce far valere i propri ideali in autonomia

Sii il cambiamento che desideri!

A differenza della Generazione X, ossia quella nata tra il 1965 e il 1980 e ironicamente etichettata come apatica e apolitica, quelle più giovani, Z e Millennials, si sono dimostrate desiderose di affrontare le sfide emergenti, promuovendo un cambiamento conforme ai nuovi criteri ideologici, basato su concetti semplici ed efficaci: se il futuro non ha senso, risolviamolo!

L’attivismo non è più il tradizionale coinvolgimento alla politica di partito, percepita come lontana dalle aspirazioni delle nuove generazioni, bensì la capacità di organizzare campagne di sensibilizzazione e proteste significative, come quelle viste in Francia, Hong Kong o Stati Uniti, anche attraverso l’utilizzo dei social media, visti come strumento di unione e organizzazione, come sostiene l’89% dei prosumer di 18-34 anni, e dal 62% di quelli over 55.

 

Sebbene questo possa sembrar paradossale, in realtà le nuove generazioni sono proprio quelle che più attivamente si stanno adoperando per porre fine a disuguaglianze sociali, razziali ed economiche, così come alla salvaguardia del pianeta e della sua biodiversità.

Il 62% degli intervistati è coinvolto in una qualche forma di attivismo, il 53% di quelli compresi tra 18 e 34 anni ha promosso e sostenuto campagne di riparazioni economiche per errori compiuti nel passato quali, ad esempio negli Stati Uniti, il rimborso ai discendenti diretti della schiavitù africana2, e il 43% dei più giovani (22% tra gli over 55) sostiene la “Cultura della cancellazione”, ossia la rimozione, dagli spazi pubblici, di statue raffiguranti personaggi che rievochino fatti storici controversi.

 

L’attivismo politico, tuttavia, non è l’unica strada attraverso cui, le nuove generazioni, vogliono operare il cambiamento. I giovani credono che l’arma vincente contro il capitalismo e il consumismo sia un nuovo approccio ideologico alle tematiche del lavoro, condivisione e ambiente.

La pandemia ha spinto i più giovani a riflettere sull’importanza del bilancio tra carriera lavorativa, vita personale e familiare, giungendo alla conclusione, non nuova in realtà e già condivisa con le precedenti generazioni, dell’importanza di lavorare per vivere e non viceversa. Il 78% afferma, infatti, di essere stanco dei lavori privi di un ideale nobile e di prediligere quelli che invece possono avere un impatto sostanziale.

 

Rispetto ai loro genitori, che davano la priorità alla sicurezza e stabilità nel lavoro, i giovani prendono le loro carriere professionali “alla giornata”, disposti a lasciare un impiego ogni qual volta si presenti un’occasione migliore o più soddisfacente. Avere obiettivi di carriera diversi non significa però che le nuove generazioni abbiano rinunciato ad un lavoro aziendale e, il 44%, dichiara di preferire le grandi aziende, per aumentare il proprio curriculum, poco più di un terzo opta per un lavoro autonomo, che offre maggiori garanzie di controllo, mentre due terzi concordano sulla necessità di lavorare di meno e dedicare più tempo alle cause importanti per il mondo.

Le nuove generazioni potrebbero anche favorire una crescita economica legata all’importanza che essi attribuiscono ai concetti di equità e riduzione del consumo. Il 75% vorrebbe costruire un mondo basato sulla suddivisione delle risorse a disposizione ma, con riferimento all’abitazione, il 56% dichiara di preferire, come le generazioni precedenti, una casa o un appartamento di proprietà, rispetto ad una condivisione comune. Infine, il 67% dei giovani prosumer afferma di essere disposto ad adottare uno stile di vita più minimalista, rinunciando ad esempio alla fast fashion, al fine di tutelare l’ambiente, il 40% è disposto a intraprendere uno stile di vita vegetariano o vegano e il 51% di essi si dichiara pronto a compiere azioni radicali per il bene del pianeta, incluse la rinuncia a viaggiare o ad avere dei figli.

 

Possiamo dire addio al consumismo? Impariamolo dai brands

Le nuove generazioni sono fortemente orientate verso un nuovo approccio economico, affermando di volere costruire un mondo meno ossessionato dal consumo (73%), di essere disposti ad adottare uno stile di vita più minimalista (67%) e di voler incentivare l’autoproduzione (72%), laddove possibile.

 

 

Questa mentalità si scontra, però, quotidianamente, con la scelta di brand di grande successo come Shein (un rivenditore fast fashion cinese) o Easyjet, economici e fruibili dai giovani, o ancora Flink, un’app che promette consegne di generi alimentari in soli 10 minuti, ostacolando la possibilità di un reale cambiamento.

Diventa quindi cruciale l’acquisizione da parte delle nuove generazioni di valori che permettano di bilanciare la voglia di vivere nel presente con la consapevolezza che le proprie azioni avranno un forte impatto futuro. Ed è proprio su questa linea di pensiero che sono nati marchi ecosostenibili finalizzati a produrre alimenti o bevande a base vegetale (Oatly, Impossible Foods, and Daiya, per citarne alcuni), a garantire trasporti su rotaia che possano ridurre l’impatto del traffico aereo in termini di produzione di CO2 (la startup francese Midnight Trains, ad esempio), ad incentivare il riciclo (l’inglese Zero Zen) o ad evitare gli sprechi di prodotti alimentari (l’americana Misfits Market).

Quello che realmente fa sperare nella possibilità del cambiamento è l’attivismo con cui i giovani sostengono le proprie ideologie, dimostrandosi pronti a non più sostenere i marchi che non rispettino criteri di ecosostenibilità (51%). L’87% degli intervistati si aspetta, dai brand, un cambiamento di tendenza e una visione orientata al futuro, come hanno già fatto, ad esempio, marchi quali Dove o Patagonia.

E quelli che non saranno in grado di evolversi, poiché il mondo è troppo lento rispetto all’accelerazione e alla voglia di cambiamento che la pandemia ha impresso sulla nuova generazione, probabilmente, saranno destinasti a scomparire, decretando così la fine dell’era del consumismo.

 

Fonti:

  1. https://dare.havas.com/insights-trends/generation-covid/
  2. https://assets.morningconsult.com/wp-uploads/2021/02/24092632/2102103_crosstabs_POLITICO_RVs_v1_AUTO.pdf

 

Leggi l’articolo sul precedente prosumer “Salute e Igiene nell’era post Covid19”

21/12/2021

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