Intelligenza artificiale, arte e l’assolo di Scar Tissue.
“La creatività è l’arte di sommare due e due ottenendo cinque”.
(Arthur Koestler)
L’intelligenza artificiale (AI) è parte integrante della nostra quotidianità. Benché abbia acquisito un ruolo predominante nella comunicazione degli ultimi anni, l’impiego di AI, Big Data analysis e machine learning è ben datato nel tempo.
In ambito salute, i primi risultati evidenti dell’uso di AI, in radiologia, risalgono al 1992, con lo sviluppo di sistemi per rilevare le micro-calcificazioni nella mammografia. Ma i primi progetti risalgono addirittura al 1951, con il primo programma scritto nell’Università di Manchester per la realizzazione di un software impiegato nel gioco degli scacchi.
Assistenza sanitaria, istruzione, trasporti, commercio, politica, finanza, sicurezza e l’ambito bellico sono settori in cui l’AI ha già assunto un ruolo predominante. A tal punto da suscitare malumori e controversie legate al timore che “la macchina” possa sostituire, in particolari contesti, il ruolo dell’uomo.
Da un lato, l’intelligenza artificiale è particolarmente adatta per svolgere compiti di routine: se questo punto di vista è corretto, il coinvolgimento e l’apporto umano rimarrà rilevante, se non essenziale, negli ambiti creativi.
Ma, mentre sono già attuali sistemi di produzione di contenuti e di opere d’arte basati sull’AI, contemporaneamente sono in evoluzione macchine “esteticamente sensibili”: perché una delle componenti dell’arte è l’emotività dell’autore, in grado di suscitare emozioni nello spettatore. E l’incapacità, o assenza emozionale delle macchine è, allo stato attuale, il punto più complesso da sviluppare. Ma, di contro, lo spazio in cui l’unicità umana rimane irriproducibile.
Un recente studio pubblicato su Front. Psychol. affronta il tema uomo-AI dal punto di vista artistico e permette di comprendere proprio il ruolo della sensibilità, e talvolta dell’errore, nella creazione artistica.
E quest’ultimo punto, per astrazione, è evidente, ad esempio, nel caso dell’assolo di chitarra del brano “Scar Tissue” dei Red Hot Chili Peppers, primo singolo del disco Californication, del 1999.
Alcuni anni fa circolarono in rete numerosi video in cui chitarristi spiegavano quanto, in tutto il brano che possiamo ascoltare qui, la chitarra di John Frusciante fosse scordata. E come questo diventi evidente nei due assoli. Ma il brano, all’ascolto, è efficace ed emozionale. Verrebbe da dire “giusto”.
Ripetendo il brano con una chitarra perfettamente accordata, tutti i fraseggi risultano stonati, e la rivelazione è illuminante: il sistema musicale che suddivide l’ottava in 12 semitoni uguali, in natura non funziona precisamente allo stesso modo.
Il più delle volte il risultato è ugualmente accettabile, ma esistono casi, come quello in esame in cui le differenze diventano macroscopiche.
Per far suonare bene quella parte è necessario scordare leggermente una corda (quella del Si), andando a compensare a orecchio tutte quelle approssimazioni armoniche che un accordatore elettronico rivelerebbe come errori.
Intervistato sull’argomento, Frusciante ha ammesso di non averlo fatto intenzionalmente, aggiungendo che questioni simili, in passato, erano tipiche di tutti i dischi di vecchi bluesman, quelli che hanno fatto la storia della musica moderna. I moderni accordatori elettronici non esistevano e una buona componente era affidata all’orecchio: se una cosa suonava bene, era semplicemente “giusta” per essere incisa.
Errori simili, “eclatanti” direbbe l’AI, sono presenti nel “Cristo Morto” del Mantegna, ne “L’ Annunciazione” di Leonardo Da Vinci o nella “Venere” di Botticelli. Solo per citarne alcuni.
Finché le macchine non impareranno a vedere alcuni “errori” come non tali ma come strumenti espressivi, e finché l’uomo sarà in grado di emozionarsi, l’AI sarà un potentissimo strumento a sostegno e non a sostituzione dell’uomo.
Approfondiamo la nostra curiosità qui.
03/07/2025