L’arte (e la scienza) del doodling
“I libri migliori sono proprio quelli che dicono quel che già sappiamo” (George Orwell)
Ti sei mai trovato a “scarabocchiare”, nel corso di una telefonata, di una riunione o di una call?
Questi “scarabocchi” (in inglese “doodles”), per definizione, “tratti senza scopo fatti da una persona mentre la sua mente è applicata, più o meno, diversamente”, possono rivelare molto dei nostri meccanismi cerebrali.
Alcuni celebri “scarabocchi” dello scrittore Fyodor Dostoyevsky, del pittore Albrecht Dürer, o del teologo e filosofo Desiderius Erasmus, noto come Erasmo da Rotterdam, sono conservati, e riprodotti in numerosi libri, come “mappa”, o chiave d’accesso, per comprendere il pensiero alla base di certe menti creative.
Tra tutte le teorie alla base dello studio dei doodles, quella che maggiormente è riconosciuta è che, la maggior parte di noi incomincia a scarabocchiare quando l’attenzione inizia a diminuire, spesso poiché associata alla noia. E quindi può essere un campanello per richiamarci alla concentrazione.
Contemporaneamente, però, ciò che rappresentiamo su carta è spesso l’espressione di un pensiero indipendente dallo stimolo, proveniente da un percorso del nostro cervello detto di “default”, come quando si sogna ad occhi aperti o si vaga con la mente, e può racchiudere nuove intuizioni e potenzialità dei nostri pensieri, in cui risiedono intuizioni creative, di innovazione e produttività, nonché, coltivare questa parte dei nostri pensieri ha riconosciute proprietà antistress.
Non poniamo limiti alla nostra creatività quindi, ma magari accorgiamoci che possiamo porre fine ad una call, richiamando l’attenzione e ricapitolando i punti essenziali, nel momento in cui realizziamo che stiamo perdendo la concentrazione. Per approfondire, leggi qui.
14/09/2023