‘L’Antigene Australia’ e la scoperta del virus dell’epatite

Ogni anno nel mondo sono più di un milione i decessi dovuti all’epatite, un’infiammazione a livello del fegato che, se non trattata, può progredire in cirrosi o cancro. L’epatite può essere provocata da un virus, come nel caso delle forme di tipo A, B, C, D (delta) ed E, oppure (nel 10-20% dei casi) essere di tipo autoimmune, tossica o metabolica. I cinque tipi di epatite virale appena citati sono tutt’oggi considerati i più allarmanti, per l’enorme carico di malattia che generano, per l’elevato numero di decessi che causano e per il potenziale rischio di insorgenza e diffusione di epidemie che possono derivarne.

Per questo, il claim della campagna promossa quest’anno per la Giornata Mondiale dell’Epatite è “We’re not waiting”, ovvero “Non aspettiamo”, un appello volto a intensificare gli sforzi per debellare l’epatite virale e a intervenire prontamente sulle persone malate attraverso test e trattamenti. Sarà anche l’occasione per celebrare i singoli individui e le comunità che in tutto il mondo stanno realizzando un cambiamento nelle loro vite e nel loro territorio.

La Giornata mondiale dell’Epatite è stata istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel giorno di nascita del biochimico statunitense Baruch Blumberg, il premio Nobel che ha effettivamente dato inizio a questo cambiamento scoprendo nel 1967 il virus dell’epatite B. La storia della scoperta di Blumberg è alquanto affascinante. Blumberg coltivava la passione per l’antropologia genetica, amava raccogliere e categorizzare i geni umani e collegare le mutazioni genetiche osservate nell’uomo alla diversa suscettibilità alle malattie. In particolare, egli era incuriosito da un antigene del sangue riscontrato di frequente in molti aborigeni, che chiamò “Antigene Australia” credendo che fosse l’impronta digitale di un fattore genetico ereditario caratteristico di questa popolazione.

Successivamente, però, Blumberg notò che i soggetti che presentavano l’Antigene Australia sottoposti a trasfusioni di sangue manifestavano spesso epatite cronica. Il biochimico ipotizzò quindi che tale antigene potesse essere stato introdotto nell’organismo di questi individui attraverso le trasfusioni.

All’inizio la comunità scientifica non diede credito alla teoria sulle epatiti post-trasfusionali di Blumberg, che venne riconosciuta e accolta solo dopo qualche anno, permettendo alla ricerca sui test diagnostici di fare grandi passi avanti e di ridurre drasticamente l’impatto di questa patologia.

Nel 1976 Blumberg ricevette il Premio Nobel per la Medicina per i suoi studi sul virus dell’epatite B e sull’Antigene Australia, oggi più comunemente noto come HBsAg, acronimo delle parole inglesi Hepatitis B surface Antigen. Le ricerche di Blumberg hanno aperto la strada alla diagnosi dell’infezione virale da HBV (Hepatitis B Virus) e alla scoperta del primo vaccino efficace contro questo tipo di patologia.

Ancora oggi Blumberg viene riconosciuto come lo scienziato che, grazie alla sua passione, ha contribuito a salvare milioni di vite in tutto il mondo.

Referenze:

28/07/2023

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