L’eredità genetica dei Neanderthal

Molti genomi di individui appartenenti a popolazioni euroasiatiche contemporanee conservano il DNA ereditato dall’incrocio degli esseri umani moderni con i Neanderthal: circa il 2% dei geni degli individui non africani derivano, di fatto, da gruppi umani arcaici. 

È noto, nella comunità scientifica, che alcune regioni genomiche sono maggiormente ricche di tali geni arcaici mentre altre ne sono significativamente impoverite, a causa di forti pressioni selettive. Tuttavia, non solo varianti benefiche o neutre, bensì anche alleli (ovvero le forme alternative di un gene) deleteri persistono con il susseguirsi delle generazioni, impattando sull’architettura genetica delle malattie moderne. 

Le evidenze scientifiche suggeriscono come alcuni degli effetti più incisivi degli alleli neandertaliani si riscontrano a livello del sistema immunitario: nella nostra predisposizione genetica a malattie autoimmuni, allergie e infezioni virali, gli umani arcaici hanno, infatti, giocato un ruolo importante. 

Studi di associazione genome-wide, ossia analisi condotte sul DNA di una specie per identificare le variazioni genetiche tra gli individui in esame, hanno messo in luce come soggetti portatori delle varianti neandertaliane dei geni IFR5 e ZNF365 presentino un rischio maggiore di sviluppare la patologia autoimmune lupus eritematoso sistemico (LES) e il morbo di Crohn, rispettivamente. 

Anche alcune varianti degli alleli dei geni TLR1 e TLR6, coinvolti nella risposta immunitaria, si rilevano con una certa frequenza nella popolazione moderna, causando reazioni immunitarie eccessive in risposta ad agenti solitamente innocui e predisposizione alle allergie. 

Alcuni studi, peraltro, a seguito dell’enorme sfida sanitaria causata dalla pandemia da COVID-19, hanno tentato di chiarire l’eventuale ruolo dei segmenti genomici ereditati dai Neanderthal nella variabilità clinica di questa infezione virale.  

Una ricerca condotta nel 2020 ha messo in luce come, tra le varianti genetiche presenti nel cromosoma 3, note per essere significativamente associate a una forma grave di COVID-19, ce ne sia una ereditata dai Neanderthal. Essa presenta una maggiore prevalenza in alcune popolazioni, caratterizzando il 30% degli individui dell’Asia meridionale e l’8% degli europei, facendo ipotizzare l’influenza di una selezione positiva passata in alcune popolazioni a causa, magari, della sua azione protettiva contro altri patogeni. 

Dunque, il retaggio genetico neandertaliano, un tempo essenziale per la sopravvivenza contro patogeni antichi, può considerarsi, oggi, un peso o una risorsa per la salute umana moderna? Questo quesito rimane al centro del dibattito scientifico, rilevando quanto l’evoluzione umana sia una storia complessa di adattamento, in cui i geni arcaici continuano a plasmare il nostro destino biologico. 

Fonti: 

Dannemann, M. (2021). The population-specific impact of Neandertal introgression on human disease. Genome biology and evolution, 13(1), evaa250. 

Zervou, M. I., Dorschner, J. M., Ghodke-Puranik, Y., Boumpas, D. T., Niewold, T. B., & Goulielmos, G. N. (2017). Association of IRF5 polymorphisms with increased risk for systemic lupus erythematosus in population of Crete, a southern-eastern European Greek island. Gene, 610, 9-14. 

Sankararaman, S., Mallick, S., Patterson, N., & Reich, D. (2016). The combined landscape of Denisovan and Neanderthal ancestry in present-day humans. Current Biology, 26(9), 1241-1247. 

Dannemann, M., Andrés, A. M., & Kelso, J. (2016). Introgression of Neandertal-and Denisovan-like haplotypes contributes to adaptive variation in human Toll-like receptors. The American Journal of Human Genetics, 98(1), 22-33. 

Zeberg, H., & Pääbo, S. (2020). The major genetic risk factor for severe COVID-19 is inherited from Neanderthals. Nature, 587(7835), 610-612. 

22/10/2024

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