Stampanti 3D e idrogel autorigeneranti

Gli idrogel, materiali polimerici di molecole disperse in acqua, sono strutture biocompatibili morbide che posseggono la capacità di comportarsi come solidi e, per questa ragione, possono imitare le caratteristiche dei tessuti viventi prestandosi a un elevato numero di applicazioni in campo biomedico.

Da più di un decennio, molti studi sono stati dedicati a questi colloidi in diversi ambiti clinici, dalla cardiologia all’oncologia, dall’immunologia alla gestione del dolore, focalizzando la loro applicazione nei trapianti di pelle, cartilagini e ossa, nonché come matrici per supportare la crescita e differenziazione cellulare e di vasi sanguigni o, ancora, come trasportatori di farmaci all’interno di organi specifici, date le loro caratteristiche contemporaneamente idrofile e idrofobiche, combinate a una degradabilità controllabile che permette un rilascio graduale dei principi attivi nel sito d’azione. Una maggior accelerazione nel loro impiego è derivata dall’evoluzione delle stampanti 3D. Tale tecnologia, già impiegata in ambito medico a partire dagli anni ‘80 e ‘90 per la riproduzione di modelli anatomici, principalmente craniofacciali, o di organi come il cuore, presentava però numerose limitazioni nell’elaborazione di polimeri di idrogel, dato che la produzione additiva basata sull’estrusione, quella maggiormente impiegata dalle stampanti 3D, ne limitava la libertà di progettazione e risoluzione. Inoltre, per rendere un materiale utilizzabile per applicazioni cliniche, questo deve essere in grado di replicare la naturale funzionalità dei tessuti viventi e al tempo stesso riprodurne le architetture, sofisticate, di microscopiche dimensioni e con un’intricata combinazione di proprietà quali la resistenza meccanica, la flessibilità e, non per ultima, la possibilità di autorigenerarsi in caso di danno.

Tutte queste caratteristiche, fino a oggi, non erano soddisfatte contemporaneamente, ma i risultati di un recente studio, nato dalla collaborazione tra un gruppo italiano e uno israeliano, hanno dimostrato la possibilità di ottenere idrogel tridimensionali caratterizzati da una maggiore complessità geometrica e precisione rispetto ai precedenti, attraverso l’impiego di una metodica chiamata Digital Light Processing (DLP), in grado di generare strutture complesse e in grado di ripararsi, autonomamente, se danneggiate.

Il processo di autoriparazione viene ottenuto modificando la struttura chimica degli idrogel impiegati come bio-inchiostro, in modo che i legami della rete polimerica iniziale vengano formati attraverso un impulso con luce ultravioletta o nel campo del visibile, passando così dallo stato liquido a quello solido e, in caso di rottura, possano essere nuovamente fissati, attraverso la formazione spontanea di nuovi legami.

In questo modo, mentre da un lato viene garantito che il risultato finale sia il più fedele possibile a quanto progettato al computer anche impiegando strutture “appiccicose” a base d’acqua, dato che ogni strato viene polimerizzato prima che venga sovrapposto il successivo, dall’altro lato, le caratteristiche dell’idrogel, tra cui la sua flessibilità ed elasticità, vengono completamente mantenute, e questo rende possibile l’effetto di autorigenerazione, poiché le parti rotte possono venir facilmente riposizionate in stretta vicinanza. Tale fenomeno avviene rapidamente, a temperatura ambiente e senza alcun impulso o catalizzatore esterno, per la formazione di legami idrogeno tra gruppi carbossilici e idrossilici nelle due interfacce di rottura e, già dopo 2 ore dalla genesi dei nuovi legami, i campioni sono in grado di resistere alla deformazione, recuperando, nelle 12 ore successive al danno, il 72% delle loro caratteristiche iniziali.

A dimostrazione dell’elevata versatilità di questa metodica, è stato finora possibile stampare strutture sferiche, lineari e cave come tubi, così come forme lisce con appendici sporgenti, fori o nicchie, e tutte senza necessità di supporti esterni. Qualunque parte di questi modelli mostrava caratteristiche di autoriparazione e, sebbene la risoluzione in scala micrometrica non sia ancora tale da permetterne l’applicazione in tutti i campi biologici, le matrici autorigeneranti potrebbero trovare applicazione, oltre che nella medicina tissutale, anche in campi quali i wearable, biosensori indossabili e nei sistemi di immagazzinamento e accumulo energetico come i nanogeneratori, le celle solari, i supercondensatori e le batterie agli ioni di litio, ossia in ambiti di interazione tra diverse discipline di innovazione tecnologica quali la biologia, le biotecnologie, l’ingegneria e le scienze dei materiali, la robotica applicata ai sistemi biologici (soft-robotica) e l’energetica. Un ulteriore aspetto, di importanza non trascurabile, è che, per ottenere questi idrogel, vengono impiegati unicamente materiali disponibili in commercio, fattore che permette di mantenere i costi di produzione molto bassi.

I risultati raggiunti rappresentano solo il primo passo verso l’impiego di questi materiali, ma mostrano prospettive, interessanti e possibili, nel loro impiego biologico e clinico.

Un problema ancora da risolvere, nello scenario dei biomateriali, è la vascolarizzazione e innervazione dei sistemi artificiali stampati che, privi di vasi sanguigni, non sono in grado di assorbire nutrienti, limitando così l’espressione delle loro funzioni vitali e rendendone difficile l’integrazione all’interno di un corpo umano o animale. Ma se da un lato, i futuri studi della medicina rigenerativa in ambito tissutale dovranno replicare tutte le componenti fondamentali per le funzioni biologiche dell’organo ricreato e non focalizzarsi, per esempio, solo sull’epidermide e il derma, includendo la progettazione di vasi sanguigni, follicoli piliferi e ghiandole sudoripare, dall’altro lato, la stampa 3D e la bioprinting a base di idrogel sono una grande promessa per la fabbricazione di tessuti connettivi come menischi, tendini, legamenti e cartilagini articolari, ossia strutture solide molto forti e resistenti, ma al tempo stesso dotate di caratteristiche elastiche, fino a oggi difficilmente riproducibili.

Fonti:

  • Caprioli M, Roppolo I, Chiappone A, Larush L, Pirri CF, Magdassi S. 3D-printed self-healing hydrogels via Digital Light Processing. Nat Commun. 2021 Apr 28;12(1):2462. doi: 10.1038/s41467-021-22802-z.
  • Matsumoto JS, Morris JM, Rose PS. 3-Dimensional Printed Anatomic Models as Planning Aids in Complex Oncology Surgery. JAMA Oncol. 2016;2(9):1121–1122. doi:10.1001/jamaoncol.2016.2469
  • Wang R, Wang Y, Yao B, Hu T, Li Z, Huang S, Fu X. Beyond 2D: 3D bioprinting for skin regeneration. Int Wound J. 2019 Feb;16(1):134-138. doi: 10.1111/iwj.13003.
  • Chimene D, Lennox KK, Kaunas RR, Gaharwar AK. Advanced Bioinks for 3D Printing: A Materials Science Perspective. Ann Biomed Eng. 2016 Jun;44(6):2090-102. doi: 10.1007/s10439-016-1638-y.
  • Chen, D. et al. Self-healing materials for next-generation energy harvesting and storage devices. Energy Mater. 7, 1700890 (2017).
  • Sachyani Keneth E, Kamyshny A, Totaro M, Beccai L, Magdassi S. 3D Printing Materials for Soft Robotics. Adv Mater. 2021 May;33(19):e2003387. doi: 10.1002/adma.202003387.

06/07/2021

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